domenica 5 dicembre 2021

Editto proibitivo della pesca con le paranze in Adriatico, anni 1773-1774

"Fermo pesca" d'altri tempi, in Adriatico.
Prima di trattare dell'Editto proibitivo, occorre fare una premessa al fine d'inquadrare lo stato dell'arte della pesca in Adriatico in quel periodo storico.
Nel corso del XVII secolo alcuni pescatori provenzali fecero il loro ingresso in Adriatico introducendovi una tecnica di pesca già molto diffusa nel Tirreno, per la quale veniva usata una grossa rete a strascico trainata da una sola imbarcazione di grosse dimensioni, detta tartana.
Successivamente si sviluppò la pesca cosiddetta alla gaetana, ovvero del modo di pescare a coppia con due barche (paranze) che tiravano appaiate una lunga rete a strascico a maglie fitte.
La rete delle gaetane, pur simile a quella delle tartane, fu modificata per aumentarne il potenziale di cattura: oltre ad avere le maglie molto più strette rispetto a quella usata dalle tartane, aveva il sacco che si restringeva al fondo, in modo da intrappolarvi i pesci una volta entrati.
Nel corso del XVIII secolo la pesca a coppia si diffonde rapidamente lungo tutte le coste tirreniche e, successivamente, in Adriatico, incontrando spesso l’opposizione dei Governi che, con provvedimenti tesi a garantire la conservazione della risorsa ittica, intesero limitare i periodi di attività e imporre la dimensione minima delle maglie delle reti, al fine di garantire la continuità, nel tempo, della pesca.
In realtà, più che generati da una precoce sensibilità ambientale, tali provvedimenti restrittivi nei confronti della pesca alla gaetana furono l’effetto di una diffusa pressione esercitata da categorie sociali con interessi diversi: mercanti di aringhe, proprietari delle imbarcazioni grandi, pescatori costieri che esercitando una pesca tradizionale con mezzi e strumenti rudimentali traevano in questo modo il proprio sostentamento.
Andiamo ora a trattare delle vicende dell'Editto.
Emanazione dell’editto "Proibitivo della Pesca a due, ossia con le Paranze, nelle Spiagge dell’Adriatico", emanato dal tesoriere generale dello Stato Pontificio, Cardinal Guglielmo Pallotta, il 23 luglio 1773.
Con esso si proibiva di «pescare di conserva, ed a coppie, ossia con rete unita a due barche, dal giorno primo d’Aprile fino al dì 15 Settembre, intervallo di tempo in cui i pesci depongono le loro ova, o almeno s’avanzano a crescere in grandezza secondo la loro specie».
L’applicazione dell’editto fu però aspramente contestata da tutta la popolazione della costa interessata.
Alle petizioni e memorie dei diretti interessati, volte a dimostrare l’assoluta innocuità del sistema di pesca a paranza, si unirono anche le suppliche di autorevoli ecclesiastici.
Pertanto, malgrado il carattere talora aspro del confronto, l’esito finale fu la mediazione.
L’editto fu infatti dapprima sospeso e successivamente, nel 1774, revocato.
Nella memoria presentata per chiederne la sospensione, l’impianto accusatorio contenuto nell’editto viene puntualmente demolito con “dimostrazioni” finalizzate a provarne l’infondatezza, non prima però di aver fatto rilevare come «le piissime intenzioni», che avevano informato i princìpi contenuti nell’editto e che erano finalizzate al «conseguimento del pubblico bene», avessero invece finito per favorire interessi privati.
Con questa linea difensiva, dalla logica impeccabile, si vollero in definitiva portare alla luce le ragioni reali che avevano indotto all’emanazione dell’editto, le quali, pur motivate anche da «lodevoli» intenzioni finalizzate alla conservazione della risorsa ittica, celavano al contempo la difesa di interessi particolari.
L’editto, in definitiva, aveva finito per giovare ai «negozianti di aringhe» che vedevano sottrarsi quote di mercato sempre più consistenti dalla maggiore disponibilità di pesce fresco, favorendo anche coloro che ancora esercitavano la pesca con le vecchie tartane e tartanoni, mentre gettava nella disperazione l’intera popolazione costiera «che unicamente vive coll’esercizio di detta pescagione»
La vicenda è raccontata nel volume "di Sole in Sole" e ricavata da documenti A.S.F. (Archivio di Stato sezione di Fermo).
"Osservazioni di fatto e di ragione sulla proibizione delle paranze a coppie in mare Adriatico, per le comunità della provincia, dal fiume Tronto al Potenza.
Impedire per 6 mesi dal 1° aprile al 15 settembre l'uso delle paranze, è un divieto che piace ai negozianti di aringhe e di salumi, i quali odiano l'abbondanza di pesci freschi, perchè più agevolmente spacciano i salati.
Si sentono invece rovinate 2500 persone al Porto di Fermo (6000 circa in tutto il distretto), che di pesca vivono, con una ventina di coppie di questi legni leggerissimi provvisti di una sola vela.
Non si fabbricano più tartane; ce n'erano 24 ma gli utili non coprivano le spese di manutenzione (canapa, chiodaria, pegola, catrame ed altro, per circa 1000 scudi d'investimento, più del doppio del costo di due paranze).
Questa gente marinara non potendo digiunare per 6 mesi, finirebbe per rendersi maleficiosa, depredando aje e casali.
Inoltre dalla pesca traggono le loro elemosine ordini religiosi di frati e di paolotte, che per istituto aborriscono carni e latticini.
Il Pubblico Consiglio del Porto si riunisce nel febbraio 1774 al suono della campana e a voto segreto decide di essere dalla parte dei pescatori, mentre a Fermo commentano: "cum nautica turba genus sit hominum legibus indomitum pariter, ac rapacissimum (poiché l'equipaggio nautico è una razza umana a sè stante, risulta parimenti indomito e inosservante delle leggi)".
Questa cattiva reputazione della "nautica turba", merita una spiegazione, che introduco a latere della vicenda esposta da "di Sole in Sole".
Gli Statuta Firmanorum (normativa statutaria della città di Fermo), imponeva prescrizioni restrittive che lungamente condizionarono le attività produttive e commerciali legate alla pesca, causando spesso controversie tra le categorie interessate e le autorità di governo.
Ad esempio, si concentrava la vendita di tutto il pescato sulla piazza principale della città di Fermo, imponendo a tutti i pescatori, sudditi e forestieri, che esercitavano la pesca dal Tronto al Potenza, di commercializzare il prodotto esclusivamente nel luogo deputato.
Si prescriveva inoltre che tutto il pesce fresco, giunto nella città di Fermo, dovesse essere venduto al minuto dagli stessi pescatori e non da altri; per tradizione, che si manterrà sino al Settecento, ogni barca aveva il proprio "parzionevole" ovvero il pescivendolo incaricato di occuparsi della vendita del pescato di ogni imbarcazione.
Le norme restrittive e il regime daziario al quale la pesca, con i suoi mezzi e il suo prodotto veniva sottoposta, riflettono chiaramente la pretesa delle autorità cittadine di esercitare il totale controllo non solo sul prodotto della pesca, ma anche sui luoghi e le figure dello scambio, nel tentativo di contrastare ogni forma di commercio fraudolento e limitare l’evasione fiscale; ma proprio a causa di tali provvedimenti restrittivi e della connessa inefficiente attività di controllo, andò sviluppandosi il commercio di contrabbando, fatto cioè al di fuori del luogo deputato, che alimentò l'evasione fiscale.
Da qui la reputazione pessima della "nautica turba".
Il Pubblico Consiglio adotta la seguente risoluzione a favore dei pescatori.
Tutto l'avere dei pescatori sta in questa pesca con le paranze a due: qui è la loro vigna, qui il granaio e la biada e l'erario loro.
Con quella pagano i dazi.
Mancando quella, manca loro la biada, il grano, il vino e la maniera di corrisponder, anzi ad un tratto manca tutto, mancando l'arte ereditata dagli Avi quasi per patrimonio.
Il campo loro è il mare e poichè il Porto di Fermo è privo di territorio, agli abitanti suoi servono le acque invece di terre e di poderi, e frutta ad essi la sabbia sterile, la vela, il vento.
Duemila e cinquecento persone nello stesso Porto si mantengono con l'uso delle paranze unite e con il commercio del pesce che da quelle si raccoglie.
Altre sono impiegate nel navigare e regolare i legni, altre nel fabbricarli e ripararli, altre nei lavori delle reti, delle funi e di simili arnesi, altre nella vendita e trasporto dei pesci che girano per la Marca e per l'Umbria.
Se a tutte queste persone si toglie l'industria nella quale è nata, allevata e cresciuta, si toglie tutta la sostanza e la maniera di conservarsi.
Questa è dunque l'utilità di tanto popolo, dalle cui mani si strapperebbe l'arte ereditata dai propri Avi.

Nessun commento:

Posta un commento