martedì 28 dicembre 2021

Pandemia e potere

Ci stiamo avviando verso la fine dell'anno e osiamo una lettura di tipo politologico, sullo stato dell'arte e sulle prospettive.
Prendo spunto da una foto, che io definirei la foto dell'anno, quella che ritrae un signore che nel corso dell'estate fa il bagno in mare con la mascherina chirurgica, quella antipandemica.
Non credevo ai miei occhi quando fui testimone diretto di un episodio di questo tipo accadutomi su una spiaggia del litorale Adriatico; credevo che quello che stavo vedendo fosse l'effetto di un colpo di sole, soprattutto, e sottolineo soprattutto, perchè sulla spiaggia, tutto era surreale, c'era cioè l'assoluta indifferenza dei bagnanti, di fronte ad un'immagine che invece a me sembrava a dir poco allucinante.
Un episodio, un'immagine piccola, ma, perlomeno per quanto mi riguarda, con la potenza dirompente di un raggio laser che squarcia le tenebre e ci illumina su come il potere, nelle sue varie diramazioni, lobbistica, economica, politica, mediatica, riesca a manipolare, a manomettere, a modificare geneticamente organismi e creare in questo modo un terreno di coltura fertile, funzionale a stabilizzare il primato delle élites, appena citate, sulla sovranità popolare.
Questo è il succo e in estrema sintesi la lettura politologica che ricavo dall'episodio, che adesso però vado ad argomentare.
L'analisi verterà sul rapporto tra pandemia e potere.
Innanzitutto non vorrei essere frainteso; che i presìdi sanitari in senso lato, vaccini e quant'altro, abbiano avuto una funzione, mi pare un dato di fatto inconfutabile, nonostante tutte le incongruenze, le forzature o i limiti di efficacia; proprio per questo motivo però, cioè per la rilevanza che tali presìdi hanno avuto in questa fase storica, insieme alle regole restrittive anti pandemiche che hanno inciso fortemente sulla vita e giocoforza anche addomesticato la collettività, proprio per questo motivo probabilmente si proverebbe da parte dei sopracitati centri decisionali, questa però rimane un'opinione mia e in quanto tale opinabile, si proverebbe ad andare oltre il tema sanitario e sfruttare l'occasione e il bacino d'utenza vasto, così creato e in qualche modo addomesticato dalle regole anti pandemiche, per arrivare ad una rimodulazione del rapporto tra il potere e il popolo, che veda ad esempio prevalere il fattore consenso sul fattore partecipazione, traducibile in "più delega", meno "spinta autonoma e propulsiva", "meno impegno in prima persona": questo è il punto.
Quindi ecco, siamo entrati con tutti e due i piedi dentro la riflessione politologica e colto i due fattori decisivi per le democrazie, fattori che però potrebbero entrare in rotta di collisione da qui in avanti: consenso e partecipazione.
Potrebbe essere, uso sempre il condizionale, che l'addomesticamento fisiologicamente prodotto sulla collettività dalle restrizioni anti pandemiche, offra l'opportunità alle élites, cioè alle varie diramazioni del potere di cui prima ho detto, per gettare le basi per una declinazione nuova del concetto di democrazia, diversa da quella del passato, declinazione diversa, peraltro già oggi attuata, mi pare di poter dire, nell'ambito dei cosiddetti autoritarismi, prevalentemente orientali, come ad esempio quello cinese.
Il presidente cinese proprio nel corso di questo mese ha parlato del concetto di democrazia, del suo concetto di democrazia, affermando che non si può avere democrazia senza il consenso popolare e qui come vediamo ritorna il fattore "consenso".
Viceversa le democrazie occidentali mantengono, perlomeno sulla carta, il fattore "partecipazione" come asse portante, salvo poi operare sotto traccia per ridimensionarlo; tant'è che qualche illustre intellettuale, avendo colto tale ridimensionamento, arriva ad ammonire: "la democrazia non è uno sport da spettatori, se tutti stanno a guardare e nessuno partecipa, non funziona più". (cit.: Michael Moore regista).
Quindi noi vediamo che se da un lato, cioè in oriente, si ammette apertamente quale possa essere la propria interpretazione del concetto di democrazia, dall'altro lato, cioè in occidente, il passaggio dalla democrazia della partecipazione a quella del consenso, cioè il passaggio dall'impegno propulsivo in prima persona, alla delega assoluta, che è una tendenza da me percepita ma che non è detto che sia fondata sia chiaro, si fa in modo per così dire subdolo, non dichiarato; ed è in questo contesto occidentale quindi, che la diramazione mass mediatica del potere, diventa decisiva, assume ruolo di vero e proprio influencer elevato all'ennesima potenza e utilizzando tecniche di comunicazione per così dire martellanti, arriva a condizionare la vita della collettività, persino a modificare geneticamente organismi e spingerli addirittura in mare con mascherina chirurgica, loro malgrado oserei dire.
Vediamo quindi che siamo riusciti a trovare il nesso tra quell'immagine piccola e la prospettiva grande.
Avviandomi alla conclusione posso dire questo.
Non c'è dubbio che le cosiddette democrazie occidentali non abbiano dato buona prova finora, le burocrazie sono pachidermiche, la forbice tra benestanti e povertà sembra allargarsi sempre di più e si potrebbe aggiungere altro; viceversa i cosiddetti autoritarismi prevalentemente orientali, mi pare che abbiano dato buona prova, poichè possono contare su un assetto istituzionale più agile, più adatto a vincere le sfide del mercato globale e anche ad affrontare le emergenze, difatti hanno prodotto progresso economico e sociale nelle aree di riferimento, in tempi relativamente rapidi.
Forse, e dico forse, è proprio per questo motivo che oggi ad occidente si prenda spunto da quegli assetti istituzionali, più rapidi ed efficienti, non so se ciò possa essere o meno un auspicio, per provare ad imitarli e replicarne in qualche modo i successi.
In ogni caso c'è un rischio, sia in caso di successi sia in caso d'insuccessi delle politiche, la collettività si ritroverebbe ad essere sempre di meno artefice delle proprie vicende: questo è il punto, questa è la prospettiva secondo me.
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lunedì 20 dicembre 2021

Tipicità Festival 2022, Fermo Forum

Nuove date di Tipicità Festival, in programma al Fermo Forum dal 2 al 4 aprile.
Tipicità Festival: eccellenze nel nuovo mondo.
Dal 2 al 4 aprile a Fermo, nelle Marche, debutta nella sua nuova veste Tipicità Festival.
Tutto da scoprire l’innovativo format, un vero e proprio ecosistema del bello e del buono nel quale confluiscono produttori, amministratori, giornalisti, blogger, influencer, buyer e visitatori.
Presenze fisiche ed interazioni digitali alimentano, nella massima sicurezza, una community che si confronta, fa business, offre esperienze e non termina la sua esperienza nei giorni del Festival, ma rimane connessa attraverso la “Tipicità Endless Experience”.
Premiata nel 2020 con il Food and Travel Award come miglior evento-iniziativa realizzata in Italia, a trent’anni dall’esordio la manifestazione si presenta con una nuova formula, un’ulteriore evoluzione che cavalca i cambiamenti epocali del periodo pandemico.
Contenuti e personaggi, itinerari e mete, cibo e making saranno fruibili nell’ambito di giornate professionali altamente specializzate, con un weekend destinato a curiosi e golosi, gourmet, food trotter ed italian enthusiast.
Tema portante: valorizzare il locale parlando al globale, far conoscere al mondo le innumerevoli eccellenze marchigiane ed italiane.
Al centro dell’attenzione il cibo e le specialità gastronomiche, insieme ad attrattive territoriali, icone del fashion e simboli del “saper fare”.
Curiosando nel padiglione emergono i primi tratti della nuova Tipicità: aree vive e pulsanti che parlano di biodiversità e biologico, cucina e lievitati d’autore, vini da vitigni autoctoni, specialità rare di territori vicini e lontani, proposte immersive nei luoghi e manifattura d’alta gamma.
L’organizzazione di Tipicità è già al lavoro per forgiare nuove modalità di promozione del #vivereallitaliana, come quelle che negli anni hanno visto sfilare il meglio delle Marche e dell’Italian Style a New York, Dubai, Mosca, Abu Dhabi, Montreal.
Organizzata dal Comune di Fermo insieme ad un nutrito pool di partner - comprendente Atenei, aziende ed entità territoriali - Tipicità Festival prevede anche la partecipazione di ospiti provenienti da altre regioni italiane e dall’estero.
Info:
www.tipicita.it
tel.: 0734.277893
mail: segreteria@tipicita.it

domenica 12 dicembre 2021

Legge enoturismo regione Marche

Approvata la legge regionale sull'enoturismo.
Dopo una fase istruttoria di un paio di mesi, che ha visto il passaggio del testo presso le varie Commissioni Consiliari, l'iniziativa della Giunta Regionale ha concluso il suo iter con l'approvazione in assemblea in data 09/11/2021.
Di seguito il documento ufficiale, che è pubblicato ed accessibile sui siti della Regione Marche.
Estremi della legge
Atto: Legge Regionale 11 novembre 2021, n. 28
Titolo: Esercizio dell’attività enoturistica nelle Marche Pubblicazione: (B.U. 18 novembre 2021, n. 92)
Stato: Vigente
Tema: Sviluppo Economico e Attività Produttive
Settore: Turismo
Materia: Disposizioni generali
Sommario
Art. 1 (Oggetto e finalità)
Art. 2 (Attività enoturistiche)
Art. 3 (Operatori enoturistici)
Art. 4 (Requisiti e standard minimi di qualità per lo svolgimento dell'attività enoturistica)
Art. 5 (Formazione professionale)
Art. 6 (Attività di degustazione e abbinamento di alimenti)
Art. 7 (Programmazione integrata)
Art. 8 (SCIA)
Art. 9 (Elenco regionale degli operatori enoturistici)
Art. 10 (Vigilanza e controllo)
Art. 11 (Sanzioni amministrative pecuniarie)
Art. 12 (Sospensione e cessazione dell'attività)
Art. 13 (Disposizioni transitorie)
Art. 14 (Invarianza finanziaria)
Art. 15 (Norma finale)
Art. 1 (Oggetto e finalità)
1. Questa legge disciplina, in armonia con i programmi di sviluppo rurale dell'Unione Europea e nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia, l'attività enoturistica regionale ai sensi dei commi 502, 503, 504 e 505 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) e del decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e del turismo del 12 marzo 2019 (Linee guida e indirizzi in merito ai requisiti e agli standard minimi di qualità per l'esercizio dell'attività enoturistica), al fine di:
a) valorizzare le aree ad alta vocazione vitivinicola; b) valorizzare le peculiari produzioni vitivinicole di ciascun territorio; c) implementare l'offerta turistica regionale con l'enoturismo per coniugare la conoscenza della cultura del vino con la cultura dei territori di produzione; d) favorire lo sviluppo delle imprese produttrici di vino consentendo di ampliare le proprie attività economiche anche in una prospettiva nazionale e internazionale.
Art. 2 (Attività enoturistiche)
1. Per attività enoturistiche si intendono: a) le attività formative ed informative, rivolte al pubblico e ai consumatori, delle produzioni vitivinicole del territorio e della conoscenza del vino, con particolare riguardo alle indicazioni geografiche (DOP, IGP) nel cui areale si svolge l'attività; b) le attività di degustazione e commercializzazione delle produzioni vitivinicole aziendali anche in abbinamento ad alimenti.
2. La Giunta regionale, con propria deliberazione e sentita la Commissione assembleare competente, individua le attività di cui alle lettere a) e b) del comma 1, anche svolte disgiuntamente, che rientrano nell'enoturismo, ai sensi del comma 502 dell'articolo 1 della legge 205/2017 e che sono assoggettate alle disposizioni di questa legge.
Art. 3 (Operatori enoturistici)
1. Possono esercitare attività di enoturismo, anche con il supporto di operatori specializzati, esclusivamente le seguenti tipologie di soggetti: a) gli imprenditori agricoli singoli o associati di cui all'articolo 2135 del codice civile esercenti attività vitivinicola che trasformano in proprio o che fanno trasformare a terzi il proprio prodotto; b) le imprese esercenti attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti vitivinicoli; c) le enoteche regionali riconosciute ai sensi della legge regionale 3 gennaio 1995, n. 5 (Provvedimenti per la valorizzazione dei prodotti vitivinicoli e agroalimentari tipici marchigiani); d) il polo enogastronomico regionale riconosciuto ai sensi dell'articolo 22 della legge regionale 23 dicembre 2013, n. 49 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2014 e pluriennale 2014/2016 della Regione (Legge finanziaria 2014)).
2. L'esercizio delle attività enoturistiche di cui all'articolo 2 non è consentito a: a) coloro che hanno riportato nell'ultimo quinquennio, con sentenza passata in giudicato, condanna per uno dei delitti previsti dagli articoli 442, 444, 513, 515 e 517 del codice penale, o per uno dei delitti in materia di igiene e di sanità o di frode nella preparazione degli alimenti previsti da leggi speciali, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione; b) coloro che sono sottoposti a misure di prevenzione ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità) e successive modificazioni, o sono stati dichiarati delinquenti abituali, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione; c) coloro che ricadono nelle condizioni previste dall'articolo 67 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136).
3. E' vietato l'uso delle denominazioni di enoturismo, enoturistico e simili, anche modificate, alterate, rettificate o associate ad altre denominazioni, come marchio individuale o commerciale, insegna o ragione sociale di soggetti che non sono operatori enoturistici ai sensi di questa legge.
Art. 4 (Requisiti e standard minimi di qualità per lo svolgimento dell'attività enoturistica)
1. Per lo svolgimento dell'attività enoturistica, è richiesta la presenza di personale qualificato compreso tra il titolare e i soci dell'impresa, i familiari coadiuvanti, i dipendenti o i collaboratori esterni, purché dotati di competenza e formazione, anche sulla conoscenza delle caratteristiche del territorio ed in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti: a) diploma di scuola secondaria di secondo grado o laurea ad indirizzo agrario o, comunque, attinenti il settore di riferimento; b) esperienza lavorativa almeno triennale svolta presso imprese vitivinicole; c) attestato di frequenza di un corso di formazione con verifica delle conoscenze acquisite avente ad oggetto l'attività vitivinicola e turistica, della durata almeno di 50 ore.
2. Fermi restando i requisiti generali, anche di carattere igienico-sanitario e di sicurezza, previsti dalla normativa vigente, gli operatori che svolgono attività enoturistiche devono presentare i seguenti requisiti e standard minimi di qualità: a) apertura annuale o stagionale di un minimo di tre giorni settimanali, all'interno dei quali possono essere compresi la domenica, i giorni prefestivi e festivi; b) sito o pagina web aziendale, almeno in tre lingue, compreso l'italiano, contenenti gli strumenti di prenotazione delle visite; c) cartello da affiggere all'ingresso dell'azienda che riporti i dati relativi all'accoglienza enoturistica, gli orari di apertura, la tipologia del servizio offerto e le lingue parlate; il cartello deve riportare anche il logo identificativo dell'attività enoturistica approvato dalla Giunta regionale; d) disponibilità di parcheggi in azienda o nelle vicinanze con adeguata indicazione; e) disponibilità di materiale informativo sull'azienda e sui suoi prodotti, in formato digitale o cartaceo, anche con riferimento alla eventuale collaborazione tra più aziende del territorio, in almeno tre lingue, compreso l'italiano; f) esposizione e distribuzione di materiale informativo, che può essere anche in formato digitale, sulla zona di produzione, sulle produzioni tipiche e locali con particolare riferimento alle produzioni con denominazione di origine sia in ambito vitivinicolo e agroalimentare, sia in ambito artigianale e industriale, sulle attrazioni turistiche, artistiche, architettoniche e paesaggistiche del territorio in cui è svolta l'attività enoturistica; g) ambienti dedicati e adeguatamente attrezzati per l'accoglienza e per la tipologia di attività in concreto svolte dall'operatore enoturistico.
3. L'attività enoturistica può essere svolta anche con il supporto di operatori specializzati nel settore turistico.
4. Per le attività di cui all'articolo 2 da svolgersi nei vigneti, i soggetti di cui alle lettere b), c) e d) del comma 1 dell'articolo 3 devono riferirsi ai viticoltori dai quali provengono le uve che originano i vini di cui all'articolo 6.
Art. 5 (Formazione professionale)
1. La Regione promuove iniziative in materia di formazione, riqualificazione e aggiornamento professionale, anche periodiche, degli operatori enoturistici o dei loro collaboratori, ai sensi della normativa regionale in tema di formazione professionale.
2. L'attività di formazione viene svolta dagli enti di formazione accreditati sulla base delle disposizioni regionali di settore. I corsi devono essere approvati dalla struttura regionale competente in materia di enoturismo e di turismo, secondo le modalità determinate dalla Giunta regionale.
3. L'attuazione degli interventi previsti dal comma 1 è subordinata al rispetto delle procedure e delle condizioni di ammissibilità del Programma di Sviluppo Rurale Marche, nei limiti delle disponibilità ivi previste per la formazione.
Art. 6 (Attività di degustazione e abbinamento di alimenti)
1. La Giunta regionale, con propria deliberazione e sentita la Commissione assembleare competente, individua e disciplina le attività di degustazione e commercializzazione delle produzioni vitivinicole aziendali, anche in abbinamento ad alimenti, anche su proposta degli operatori enoturistici di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 1 dell'articolo 3.
2. L'abbinamento di alimenti ai prodotti vitivinicoli aziendali deve avvenire con prodotti agro-alimentari freddi preparati dall'azienda stessa, anche manipolati o trasformati, pronti per il consumo nel rispetto delle discipline e delle condizioni e dei requisiti igienico-sanitari previsti dalla normativa vigente, e legati alle produzioni locali e tipiche della regione Marche, valorizzandone la stagionalità e la provenienza territoriale, anche provenienti da una rete di aziende.
3. La Giunta regionale approva l'elenco delle tipologie degli alimenti da abbinare alla degustazione dei prodotti vitivinicoli.
4. Dall'attività di degustazione sono in ogni caso escluse le attività e gli alimenti che prefigurano un servizio di ristorazione.
Art. 7 (Programmazione integrata)
1. L'attuazione e la gestione di questa legge regionale è seguita sinergicamente dalle strutture competenti nei settori dell'agricoltura, del commercio e del turismo, secondo le modalità stabilite dalla Giunta Regionale.
Art. 8 (SCIA)
1. I soggetti di cui al comma 1 dell'articolo 3 che vogliono avviare le attività di enoturismo debbono presentare al Comune in cui intendono svolgere l'attività la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).
2. La Giunta regionale determina le modalità per la presentazione della SCIA.
3. La SCIA deve indicare le attività che si intendono svolgere e i periodi di apertura; il Comune ne trasmette copia alla struttura organizzativa regionale competente.
Art. 9 (Elenco regionale degli operatori enoturistici)
1. Presso la struttura organizzativa regionale competente in materia di enoturismo è istituito l'elenco regionale degli operatori enoturistici.
2. Nell'elenco sono iscritti i soli operatori che hanno inoltrato la segnalazione certificata di inizio attività di cui all'articolo 8.
3. Le modalità di iscrizione nell'elenco di cui al comma 1 sono stabilite dalla Giunta regionale sentita l'ANCI.
Art. 10 (Vigilanza e controllo)
1. Fatte salve le competenze di altri soggetti indicati nella normativa statale e regionale, in particolare in materia di igiene, sicurezza alimentare e degli ambienti di lavoro, i Comuni esercitano la vigilanza sull'osservanza di questa legge.
2. I Comuni sono tenuti ad effettuare, annualmente, un controllo a campione su almeno il 10 per cento delle strutture presenti nel territorio comunale, rispettando il turno minimo di tre anni tra i controlli allo stesso esercizio, salvo segnalazioni pervenute allo stesso Ente.
3. I Comuni trasmettono alla Regione, entro il 31 marzo di ogni anno, una relazione sull'attività di controllo e vigilanza posta in essere nell'anno precedente.
4. Le modalità di svolgimento dei controlli di cui ai commi 2 e 3 sono stabilite con delibera di Giunta regionale.
Art. 11 (Sanzioni amministrative pecuniarie)
1. Chiunque faccia uso delle denominazioni di enoturismo, enoturistico e simili, anche modificate, alterate, rettificate o associate ad altre denominazioni, come marchio individuale o commerciale, insegna o ragione sociale di soggetti che non sono operatori enoturistici ai sensi di questa legge è soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.500,00 a euro 10.000,00.
2. Chiunque svolge le attività di enoturismo senza aver presentato la SCIA di cui all'articolo 8, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.500,00 a euro 15.000,00. Il Comune dispone la chiusura dell'attività svolta senza titolo abilitativo. L'attività di enoturismo non può essere intrapresa dall'imprenditore responsabile dell'infrazione di cui a questo comma nei successivi dodici mesi.
3. Chiunque svolge le attività di enoturismo senza i requisiti e gli standard minimi di qualità di cui all'articolo 4, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500,00 a euro 3.000,00.
4. L'operatore enoturistico è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250,00 a euro 1.500,00 per: a) mancato rispetto delle modalità di esercizio dell'attività indicate nella SCIA; b) mancata esposizione al pubblico della SCIA; c) utilizzo di prodotti non conforme a quanto stabilito dall'articolo 6.
5. Per l'accertamento e la contestazione delle infrazioni a questa legge si applica la legge regionale 10 agosto 1998, n. 33 (Disciplina generale e delega per l'applicazione delle sanzioni amministrative di competenza regionale).
6. Per le sanzioni di cui al comma 4 si applicano le disposizioni sulla diffida di cui all'articolo 1 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 116.
Art. 12 (Sospensione e cessazione dell'attività)
1. Nel caso di accertamento di una delle violazioni indicate al comma 3 dell'articolo 11, il Comune sospende l'esercizio dell'attività enoturistica per un periodo compreso tra i dieci e i trenta giorni. Qualora l'operatore enoturistico commetta un'altra violazione, tra quelle indicate al comma 3 dell'articolo 11, nei due anni successivi, il Comune dispone la sospensione dell'attività per un periodo da quindici a quaranta giorni.
2. In caso di reiterazione di una delle violazioni di cui al comma 3 dell'articolo 11, il Comune dispone la cessazione dell'attività.
3. I provvedimenti di sospensione e di cessazione sono comunicati al Prefetto per gli effetti di cui al quarto e quinto comma dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382).
4. I provvedimenti di sospensione e cessazione sono comunicati altresì alla struttura organizzativa regionale competente.
Art. 13 (Disposizioni transitorie)
1. Le aziende già in attività non presentano una nuova SCIA ai sensi dell'articolo 8 e si adeguano alle disposizioni di questa legge entro dodici mesi dalla entrata in vigore della stessa.
Art. 14 (Invarianza finanziaria)
1. Dall'applicazione di questa legge non derivano nuovi o maggiori oneri per il bilancio regionale. Alla sua attuazione si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalla legislazione vigente.
Art. 15 (Norma finale)
1. Per quanto non previsto da questa legge si applicano le disposizioni dei commi 502, 503, 504 e 505 dell'articolo 1 della legge 205/2017 e del decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e del turismo del 12 marzo 2019.

domenica 5 dicembre 2021

Editto proibitivo della pesca con le paranze in Adriatico, anni 1773-1774

"Fermo pesca" d'altri tempi, in Adriatico.
Prima di trattare dell'Editto proibitivo, occorre fare una premessa al fine d'inquadrare lo stato dell'arte della pesca in Adriatico in quel periodo storico.
Nel corso del XVII secolo alcuni pescatori provenzali fecero il loro ingresso in Adriatico introducendovi una tecnica di pesca già molto diffusa nel Tirreno, per la quale veniva usata una grossa rete a strascico trainata da una sola imbarcazione di grosse dimensioni, detta tartana.
Successivamente si sviluppò la pesca cosiddetta alla gaetana, ovvero del modo di pescare a coppia con due barche (paranze) che tiravano appaiate una lunga rete a strascico a maglie fitte.
La rete delle gaetane, pur simile a quella delle tartane, fu modificata per aumentarne il potenziale di cattura: oltre ad avere le maglie molto più strette rispetto a quella usata dalle tartane, aveva il sacco che si restringeva al fondo, in modo da intrappolarvi i pesci una volta entrati.
Nel corso del XVIII secolo la pesca a coppia si diffonde rapidamente lungo tutte le coste tirreniche e, successivamente, in Adriatico, incontrando spesso l’opposizione dei Governi che, con provvedimenti tesi a garantire la conservazione della risorsa ittica, intesero limitare i periodi di attività e imporre la dimensione minima delle maglie delle reti, al fine di garantire la continuità, nel tempo, della pesca.
In realtà, più che generati da una precoce sensibilità ambientale, tali provvedimenti restrittivi nei confronti della pesca alla gaetana furono l’effetto di una diffusa pressione esercitata da categorie sociali con interessi diversi: mercanti di aringhe, proprietari delle imbarcazioni grandi, pescatori costieri che esercitando una pesca tradizionale con mezzi e strumenti rudimentali traevano in questo modo il proprio sostentamento.
Andiamo ora a trattare delle vicende dell'Editto.
Emanazione dell’editto "Proibitivo della Pesca a due, ossia con le Paranze, nelle Spiagge dell’Adriatico", emanato dal tesoriere generale dello Stato Pontificio, Cardinal Guglielmo Pallotta, il 23 luglio 1773.
Con esso si proibiva di «pescare di conserva, ed a coppie, ossia con rete unita a due barche, dal giorno primo d’Aprile fino al dì 15 Settembre, intervallo di tempo in cui i pesci depongono le loro ova, o almeno s’avanzano a crescere in grandezza secondo la loro specie».
L’applicazione dell’editto fu però aspramente contestata da tutta la popolazione della costa interessata.
Alle petizioni e memorie dei diretti interessati, volte a dimostrare l’assoluta innocuità del sistema di pesca a paranza, si unirono anche le suppliche di autorevoli ecclesiastici.
Pertanto, malgrado il carattere talora aspro del confronto, l’esito finale fu la mediazione.
L’editto fu infatti dapprima sospeso e successivamente, nel 1774, revocato.
Nella memoria presentata per chiederne la sospensione, l’impianto accusatorio contenuto nell’editto viene puntualmente demolito con “dimostrazioni” finalizzate a provarne l’infondatezza, non prima però di aver fatto rilevare come «le piissime intenzioni», che avevano informato i princìpi contenuti nell’editto e che erano finalizzate al «conseguimento del pubblico bene», avessero invece finito per favorire interessi privati.
Con questa linea difensiva, dalla logica impeccabile, si vollero in definitiva portare alla luce le ragioni reali che avevano indotto all’emanazione dell’editto, le quali, pur motivate anche da «lodevoli» intenzioni finalizzate alla conservazione della risorsa ittica, celavano al contempo la difesa di interessi particolari.
L’editto, in definitiva, aveva finito per giovare ai «negozianti di aringhe» che vedevano sottrarsi quote di mercato sempre più consistenti dalla maggiore disponibilità di pesce fresco, favorendo anche coloro che ancora esercitavano la pesca con le vecchie tartane e tartanoni, mentre gettava nella disperazione l’intera popolazione costiera «che unicamente vive coll’esercizio di detta pescagione»
La vicenda è raccontata nel volume "di Sole in Sole" e ricavata da documenti A.S.F. (Archivio di Stato sezione di Fermo).
"Osservazioni di fatto e di ragione sulla proibizione delle paranze a coppie in mare Adriatico, per le comunità della provincia, dal fiume Tronto al Potenza.
Impedire per 6 mesi dal 1° aprile al 15 settembre l'uso delle paranze, è un divieto che piace ai negozianti di aringhe e di salumi, i quali odiano l'abbondanza di pesci freschi, perchè più agevolmente spacciano i salati.
Si sentono invece rovinate 2500 persone al Porto di Fermo (6000 circa in tutto il distretto), che di pesca vivono, con una ventina di coppie di questi legni leggerissimi provvisti di una sola vela.
Non si fabbricano più tartane; ce n'erano 24 ma gli utili non coprivano le spese di manutenzione (canapa, chiodaria, pegola, catrame ed altro, per circa 1000 scudi d'investimento, più del doppio del costo di due paranze).
Questa gente marinara non potendo digiunare per 6 mesi, finirebbe per rendersi maleficiosa, depredando aje e casali.
Inoltre dalla pesca traggono le loro elemosine ordini religiosi di frati e di paolotte, che per istituto aborriscono carni e latticini.
Il Pubblico Consiglio del Porto si riunisce nel febbraio 1774 al suono della campana e a voto segreto decide di essere dalla parte dei pescatori, mentre a Fermo commentano: "cum nautica turba genus sit hominum legibus indomitum pariter, ac rapacissimum (poiché l'equipaggio nautico è una razza umana a sè stante, risulta parimenti indomito e inosservante delle leggi)".
Questa cattiva reputazione della "nautica turba", merita una spiegazione, che introduco a latere della vicenda esposta da "di Sole in Sole".
Gli Statuta Firmanorum (normativa statutaria della città di Fermo), imponeva prescrizioni restrittive che lungamente condizionarono le attività produttive e commerciali legate alla pesca, causando spesso controversie tra le categorie interessate e le autorità di governo.
Ad esempio, si concentrava la vendita di tutto il pescato sulla piazza principale della città di Fermo, imponendo a tutti i pescatori, sudditi e forestieri, che esercitavano la pesca dal Tronto al Potenza, di commercializzare il prodotto esclusivamente nel luogo deputato.
Si prescriveva inoltre che tutto il pesce fresco, giunto nella città di Fermo, dovesse essere venduto al minuto dagli stessi pescatori e non da altri; per tradizione, che si manterrà sino al Settecento, ogni barca aveva il proprio "parzionevole" ovvero il pescivendolo incaricato di occuparsi della vendita del pescato di ogni imbarcazione.
Le norme restrittive e il regime daziario al quale la pesca, con i suoi mezzi e il suo prodotto veniva sottoposta, riflettono chiaramente la pretesa delle autorità cittadine di esercitare il totale controllo non solo sul prodotto della pesca, ma anche sui luoghi e le figure dello scambio, nel tentativo di contrastare ogni forma di commercio fraudolento e limitare l’evasione fiscale; ma proprio a causa di tali provvedimenti restrittivi e della connessa inefficiente attività di controllo, andò sviluppandosi il commercio di contrabbando, fatto cioè al di fuori del luogo deputato, che alimentò l'evasione fiscale.
Da qui la reputazione pessima della "nautica turba".
Il Pubblico Consiglio adotta la seguente risoluzione a favore dei pescatori.
Tutto l'avere dei pescatori sta in questa pesca con le paranze a due: qui è la loro vigna, qui il granaio e la biada e l'erario loro.
Con quella pagano i dazi.
Mancando quella, manca loro la biada, il grano, il vino e la maniera di corrisponder, anzi ad un tratto manca tutto, mancando l'arte ereditata dagli Avi quasi per patrimonio.
Il campo loro è il mare e poichè il Porto di Fermo è privo di territorio, agli abitanti suoi servono le acque invece di terre e di poderi, e frutta ad essi la sabbia sterile, la vela, il vento.
Duemila e cinquecento persone nello stesso Porto si mantengono con l'uso delle paranze unite e con il commercio del pesce che da quelle si raccoglie.
Altre sono impiegate nel navigare e regolare i legni, altre nel fabbricarli e ripararli, altre nei lavori delle reti, delle funi e di simili arnesi, altre nella vendita e trasporto dei pesci che girano per la Marca e per l'Umbria.
Se a tutte queste persone si toglie l'industria nella quale è nata, allevata e cresciuta, si toglie tutta la sostanza e la maniera di conservarsi.
Questa è dunque l'utilità di tanto popolo, dalle cui mani si strapperebbe l'arte ereditata dai propri Avi.